Eventi e Mostre
Getting back
La mostra “Getting Back” è approdata al Museo Archeologico di Bitonto.
Idealmente il titolo per la tappa bitontina lo si è declinato con “albeggia, si è fatto giorno” e con il saluto mattutino del giorno 24-9-2020 il presidente della Fondazione de Palo – Ungaro, prof Nicola Pice, annuncia l’arrivo dell’esposizione con la frase, dias in luminis oras.
Tante presenze, autori, amici vecchi e nuovi tra questi i ragazzi neo-laureati prestati al servizio civile presso la sede espositiva. E, poi lo start dello storico dell’arte Gaetano Centrone, il quale inizia con il chiedere agli astanti che cos’è arte o del “fare” l’artista. Piccole conclusioni immediate sono che l’artista è l’animatore che dovrebbe farsi artefice, politico, socialmente impegnato. Prosegue con il dispiegare le personalità dell’arte che maggiormente hanno usato e modellato la materia con la luce sino al senso provocatorio della coppia Jeff Koons-Cicciolina, passando per Medardo Rosso, Fontana, Burri.
Come previsto il parlamento (talk) è continuato con il professore e filosofo Sabino Paparella il quale ha dato differenti input di testimonianza del lavoro svolto nell’ombra. Quest’ultima intesa come lavoro raccontato nel libro, La notte dei proletari. Archivi del sogno operaio di Jacques Rancière; “Chi sono? Qualche decina, qualche centinaio di proletari che hanno avuto vent’anni intorno al 1830 e che hanno a quel tempo deciso, ciascuno per suo conto, di non sopportare più l’insopportabile. […] Finirla con tutto questo, sapere perché non la si è ancora fatta finita, cambiare la vita… Il rovesciamento del mondo comincia a quell’ora in cui i lavoratori normali dovrebbero godere il sonno pacifico di coloro il cui mestiere non implica affatto il pensare; […] Il soggetto di questo libro è innanzitutto la storia di queste notti strappate alla successione normale del lavoro e del riposo: interruzione impercettibile, inoffensiva, si dirà, del corso normale delle cose, dove si prepara, si sogna, si vive già l’impossibile: la sospensione dell’ancestrale gerarchia che subordina coloro che sono votati a lavorare con le loro mani da chi ha ricevuto il privilegio del pensiero. Notti di studio, notti d’ebrezza”. Continuando il discorso sulla pandemia il nostro sfoglia il libro di Carlo Ossola, PER DOMANI ANCORA, Vie di uscita dal confino, scritto nella nostra chiusura forzata: «We build our temples for tomorrow»: «costruiamo templi per domani, […] liberi dentro di noi»; le parole di Langston Hughes si imposero alla memoria mentre l’inazione di questi mesi cancellava il senso dell’agire nello spazio, del contare il tempo. Quando non c’è più la catena degli eventi, rimane solo ciò che non ha bisogno dell’oggi per esistere. Potranno esserci nuove restrizioni; occorrerà rientrare: «Se fuori c’è il passato, forse il futuro si concentra nel punto più interno dell’isola d’If, cioè la via d’uscita è una via verso il dentro» (Italo Calvino, Il conte di Montecristo, 6). Sempre nell’apportare vie di lettura alla mostra un’ipotesi culturale potrebbe essere mediata dal testo, l’ombra del male di François Jullien; Perché la morte, la sofferenza, la malattia la guerra, l’ingiustizia? Perché queste ombre nel grande affresco della vita? Si tratta di uno dei temi più antichi e universali del pensiero, che in Occidente si è configurato nel problema della giustificazione del male.La saggezza cinese ha cercato invece di mostrare che senza la sofferenza, la malattia, la guerra, la morte, non sapremmo cos’è il bene, la salute, la pace, nemmeno la vita stessa; proprio come in un dipinto sono necessarie le ombre per far emergere i colori e poterli ammirare. L’ombra che si oppone alla luce per renderla visibile assume il valore di negativo che coopera all’economia del tutto e lo promuove. Questo libro di Jullien fa cozzare tra loro il male e il negativo: il primo, più indagato dal pensiero europeo e legato ai concetti di trascendenza e di un Dio creatore che premia e castiga, e allo sviluppo della teodicea; il secondo, tema centrale e proprio della tradizione cinese, legato al concetto di immanenza e di vita come processo di polarità. Jullien dimostra che è possibile rispondere alle domande dell’uomo sul senso del male, e sviluppare una morale per comprenderlo e contenerlo, se l’umano si guarda e riflette in se stesso. Il male diventa intelligibile se lo consideriamo nella dimensione del negativo, recuperando anche aspetti della filosofia occidentale antica come il pensiero di Eraclito, secondo il quale «l’opposto coopera», o come la concezione del negativo di Hegel che, interiorizzandosi e riflettendosi, diventa principio di movimento che costituisce il Sé. In conclusione ancora le lettere e la lettura in particolare dell’Elogio dell’ombra di Jorge Luis Borges e il punto di arrivo: “Ora posso dimenticarle. Giungo al mio centro,alla mia chiave e alla mia algebra,giungo al mio specchio.Presto saprò chi sono“.Con il senso di una circolarità che si ricongiunge, la speranza di una nuova luce auspicata all’inizio da Nicola Pice, Sabino Paparella chiosa con la sua lettura del progetto Getting back, del ritorno che non potrà mai più essere un ad un prima com’era, ma ad un restituire l’essenzialità.