«Le città d’origine peuceta della Puglia centrale nell’età romana»
Riportiamo la recensione del prof. Nicola Pice pubblicata sulla rivista online «Primo Piano»
Il Museo archeologico di Bitonto (Fondazione de Paolo – Ungaro) ha fatto da cornice alla presentazione del volume dello studioso e ricercatore Custode Silvio Fioriello “Poediculorum oppida” – Spazi urbani della Puglia centrale in età romana. Il lavoro traccia un quadro storico-insediativo ricostruibile per l’età romana nell’area della Puglia centrale in cui si sviluppò la cultura peuceta, con specifico riferimento alle collettività di Ruvo (Rubi), Bitonto (Butuntum), Bari (Barium), Ceglie (Caelia), Rutigliano (Azetium), Ginosa (Genusia) nell’ambito di un arco cronologico che va dagli avvenimenti della seconda guerra sannitica fino al bellum sociale dell’89 a.C.. L’anno, in cui la debole opposizione dei Poediculi (i Peucezi nella definizione riferita da Strabone) al generale C. Cosconio registra l’ultimo richiamo all’antica identità della stirpe, destinata a sciogliersi nell’ambito dell’assetto politico-amministrativo dell’Apulia.
Lo studio si apre ad una nuova prospettiva interpretativa che supera l’angusta visione finora tramandata di un’area apula come periferia marginale della Magna Graecia, il cui paesaggio agrario era letto, e spesso frainteso, nelle ottiche settoriali delle centuriazioni o nella discutibile sovrapposizione di situazioni territoriali medievali, moderne o contemporanee nel passato romano, finendo per proporre la Peucezia quale area “povera” e “depressa”.
Molto ha contribuito nella nuova lettura del territorio in questione la ricerca storico-archeologica, che ha permesso di riconoscere come le devastazioni belliche e le mutilazioni territoriali post-belliche, imposte da Roma, abbiano costituito innegabili fattori di destrutturazione e di costruzione di nuovi assetti sociali, economici e insediativi. Certo al ritardo negli studi si è aggiunto lo stereotipo storiografico che pure conduce a fonti letterarie di certo rilievo, magari a Cicerone (inanissima pars Italiae, la regione dell’Italia più misera, in Att. 8,3,4) o a Lucano (piger Apulus arva deseruit rastris et inerti tradidit herbae, i campi che l’Apulo indolente ha lasciato deserti di aratri e abbandonato all’erba sterile, Phars. 5, 403-404) o a Seneca (in desertis Apuliae, nelle solitarie terre della Puglia, in Ep. 11,87,7), persino a Giovenale che parla di terreni apuli venduti a basso prezzo (Sat. 4,26-27), salvo poi a riferire di poderi apuli coltivati e tanti pascoli così vasti da stancare persino i nibbi (tot praedia Apula, tot milvos intra tua pascua lassos, in Sat., 9, 54-55).
Con molta probabilità l’immagine che si evince da queste fonti letterarie potrebbe ricondursi ad una situazione di progressiva rarefazione economica, che non comportò un tracollo generale e che potette interessare solo limitate aree pugliesi.
Oggi si ha una conoscenza che esclude una visione desolante della vita rurale e della produzione agraria e silvo-pastorale e si è più informati delle città e della connessa cultura architettonica, artistica e materiale. Peraltro la cosiddetta romanizzazione del territorio produsse un processo radicale di trasformazione piuttosto che di destrutturazione. Si viene così a delineare un profilo storico delle modalità insediative e delle forme organizzative dello spazio urbano in età romana nell’area della Peucezia, prospettando una ricostruzione dei processi che attengono al rapporto tra presupposti ambientali e variabili antropiche, unità amministrative e morfologie sociali, tra specificità produttive locali e carico demografico.
Il paesaggio urbano interessato tra la fine del III secolo a.C. e la seconda metà del II secolo d.C. offre dinamiche organizzative omogenee e precise peculiarità in rapporto all’influsso esercitato da Roma, che determinava conseguenti processi di metabolismo e simbiosi. Ne deriva una visione della Puglia centrale con un territorio fittamente popolato ed economicamente vitale, nell’ambito del quale si possono individuare molteplici modelli insediativi e svariate forme di produzione, ben attestate anche nelle coeve realtà dell’Italia centro-settentrionale e meridionale, con cui il paesaggio della Puglia centrale in età romana trova per più aspetti stringenti confronti. Si viene così a superare il rigido e superato bipolarismo tra continuità e discontinuità, individuando quei segni di ristrutturazione e di omologazione, di novità e di vitalità, di discontinuità e di continua interazione.
Il libro di Fioriello, dopo aver tracciato un essenziale quadro storico dello sfaldamento dell’ethnos peucezio e della mutata realtà politico-istituzionale, a seguito della fase della romanizzazione dall’età tardorepubblicana all’età imperiale, ricostruisce in maniera organica e in un disegno globale il profilo dello spazio urbano delle sette città peucete già menzionate nel passaggio dallo stato di civitates alleate a quello di municipia, dedicando a ciascuna di esse un capitolo che espone e discute i dati pertinenti il profilo storico e istituzionale, la forma della città e l’assetto del territorio con adeguato impianto illustrativo e ampio apparato critico.
Emerge un quadro tutto innervato sull’intensa e morfogenetica tensione tra metabolismo e simbiosi, la cui articolazione in insediamenti urbani principali costieri, in diversi poli abitativi a presidio e gestione delle campagne, in diffusi piccoli nuclei rurali, si è conservata sino al tardoantico e oltre.