INAUGURAZIONE MOSTRA ANTICHE EDIZIONI DELLA DIVINA COMMEDIA

di Nicola Pice

Sono in mostra dal 4 giugno negli spazi espositivi del Museo Archeologico di Bitonto alcune edizioni antiche della Divina Commedia del “Fondo Filippo e Lucia Sara Palmieri” in dotazione alla Fondazione De Palo-Ungaro. La mostra, che mira a solennizzare il Settecentesimo della morte del Divino Poeta, un centenario speciale, rientra nel progetto, approvato dal Comitato Nazionale per la Celebrazione di questo anniversario.
Prevede tra l’altro la consegna dei premi del Concorso regionale “Parola di Dante” indetto dal Liceo Scientifico “G. Galilei” per testi in prosa e in poesia e per audiovisivi-multimediali e la “Sedimenta suite” – Sottolineature in musica per flauti e clarinetto basso con Vincenzo Mastropirro e Mauro Altamura.

Numerosi i testi rari o antichi messi in mostra: vi sono edizioni con illustrazioni di grandi artisti e incisori o con preziosi commenti di illustri dantisti. C’è la Divina Commedia illustrata da G. Dorè con bellissime incisioni a inchiostro sfumato di grande virtuosismo tecnico, pubblicate grazie all’opera di decine di artigiani incisori, tra 1861 e 1868 per Hachette: il nostro testo, che risale al primo Novecento, le riproduce in forma integrale, con didascalie narrative che consentono di ripercorrere agevolmente il viaggio dantesco; quella del 1793 al tratto di Lasinio su disegni dello scultore inglese Giovanni Flexman, quella con le xilografie di Làszlo Lorinczi, che così si confessa:
Vent’anni ho inciso la dantesca sorte
percorsi umilmente il divino
triplice labirinto: e fui felice

Un volume rarissimo stampato nel 1908 “La Divina Commedia di Dante Alighieri nell’arte del Cinquecento” riproduce per intera la illustrazione dantesca di Federico Zuccari, l’opera grafica di maggior mole che il Cinquecento produsse intorno alla Divina Commedia, 88 tavole illustrative che, realizzate tra il 1586 e il 1588 ed entrate a far parte della collezione degli Uffizi nel 1738, sono oggi pubblicate integralmente sul sito della Galleria degli Uffizi. Diversa la tecnica seguita nella narrazione delle tre cantiche: si passa dai disegni grevi a matite rosse e nere dell’Inferno, ai disegni a penna rilevati di bistro più leggeri e a quelli più vivaci a sola matita rossa del Purgatorio, ai disegni con i piccoli tondi in cui emergono figure diafane che rendono il concetto della luce e della felicità del Paradiso.

In mostra è la prestigiosa Divina Commedia realizzata nel 1937, XV° dell’era fascista, dal Sindacato Romano degli Autori e Scrittori negli stabilimenti tipografici della Società Editrice di “Novissima” in Roma e dedicata a Mussolini. Si tratta di una splendida edizione “muta”, senza illustrazioni e commento, in carta pesante fatta a mano, a tiratura fortemente limitata – furono realizzati solo 273 esemplari, il nostro è la 154 copia – con ottima legatura editoriale in similpelle bianca con grande aquila imperiale romana stilizzata al piatto e titolo in verde al dorso, mentre il frontespizio è in verde e nero. Il volume è un esempio di commistione tra discorso di propaganda e discorso scientifico e quindi rappresentativo della critica letteraria del Ventennio. Sono presenti diverse edizioni della Divina Commedia in formato tascabile, il Dante minuscolo, un tempo “libri da sacca” perché accompagnavano i viaggiatori negli spostamenti che duravano molti giorni. Si tratta di veri gioiellini editoriali, comodissimi per una rapida consultazione o per un pronto riscontro di citazioni del testo dantesco: piccoli capolavori in carta pregevole, di formato ottavo piccolo sedicesimo o ecc. in 24, maneggevoli semplici poco costosi trasportabili poco pesanti. Su un libro piace soffermarsi: si tratta di “Dante vivo” di Giovanni Papini, peraltro autografato dal celebre scrittore fiorentino. Pochi anni dopo la firma dei Patti Lateranensi, il convertito Papini dava alle stampe questo libro sul più illustre dei fiorentini, “più moderno di tanti moderni, più vivo di tanti morti che si credon vivi”. Questo non è libro di professore per scolari, né di critico per critici, né di pedante per pedanti, né di pigro compilatore per uno di pigri lettori. Vuole essere il libro vivo di un uomo vivo sopra un uomo che dopo la morte non ha mai cessato di vivere. È il libro, innanzitutto, di un artista sopra un artista, di un cattolico sopra un cattolico, di un fiorentino sopra un fiorentino. Non è e non vuol essere una delle tante vite di Dante, maiuscole o minuscole, utili o superflue, che tutti gli anni si pubblicano qui e là nel mondo. … Sappiamo molto della sua anima attraverso copiosi documenti di prima mano – le opere – ma pochi son quelli che si curano di approfondirla e d’interpretarla. Perciò il mio libro, più che una vita di Dante, vorrebbe offrire un Dante vivo, un ritratto morale e spirituale di lui intorno a ciò che veramente conta, anche oggi, per noi. … Non già che io disprezzi i pazientissimi elaboratori di edizioni critiche e gli instancabili frugatori e illustratori di particolari storici e biografici. Ma li rispetto come rispetto il mugnaio che fornisce la pretta farina che sarà consacrata dal celebrante. Chi vaglia la rena e cuoce la calce fa opera necessaria ma Dio ne guardi se volesse giudicar l’architetto. … Dante è qualcosa di più di un testo di lingua o di un tema di filologia romanza o comparata. Dante è, oltre tutto e innanzi tutto, fiamma e fuoco, è vita e luce, è possanza e ardore di fede morale e messianica”. «La Divina Commedia è solo in apparenza, in quanto veicolo verbale di trasmissione, un libro come gli altri libri. In realtà – almeno nell’intenzione del creatore – è un atto, uno strumento di azione, un’opera nel senso originario della parola, cioè un tentativo di cambiare e trasformare la materia: in questo caso l’umana materia. […] L’arte, qui, non vuol essere illuminante e tanto meno divertevole, ma addirittura metamorfosante. […] La Commedia, insomma, vorrebbe essere il libro-strumento, il libro-martello, il libro-frusta, il libro-ala, il libro-medicina. […] Dante non è soltanto uno scrittore, un filosofo, un moralista – ma un demiurgo […]. Ha inteso di offrire un supplemento alla stessa Bibbia, dare un seguito all’Apocalisse». L’opera di Papini è certamente quella, di matrice italiana, che ha meglio fatto conoscere Dante nel mondo intero nella prima metà del Novecento. A settecento anni dalla morte, Papini trova che le aspirazioni e le speranze di Dante sono le medesime dei cattolici moderni del ventesimo secolo: una Chiesa non implicata nella politica e negli affari, ma impegnata ad insegnare “agli uomini ad essere perfetti sì da meritare la pace sulla terra e la beatitudine in cielo”. Nel 1933 Papini, sulle orme del suo grande concittadino eletto a guida spiritale del proprio secolo, auspica l’unità politica almeno dell’Europa. Quattro anni dopo, nel 1937, si farà promotore in un celebre discorso per l’appunto di un’Europa unita.

Tra le antiche edizioni della Divina Commedia anche le cento Lecturae Dantis tenute in Orsanmichele a Firenze edite dalla casa editrice Sansoni, un puntuale commento ai cento canti del poema dantesco che ancor oggi si rivela uno strumento utile per cogliere il significato e l’arte dell’opera del sommo poeta. La 101^ Lectura Dantis è il discorso di Benedetto Croce letto dallo stesso nella sala Dante di Ravenna quale Ministro della Pubblica Istruzione in occasione del sesto centenario della morte di Dante. Un testo straordinario che veramente aiuta a comprendere la grandezza del Poeta. Valga per tutto questo passaggio significativo che qui si riporta. “E come a poeta noi dobbiamo accostarci a lui, come poeta riceverlo nella nostra anima, come poeta farlo vivere in noi e trarre da lui vitale nutrimento. La poesia è un elemento necessario della vita umana, perché è necessità spirituale metterci di volta in volta disopra delle lotte partitiche, o dal dominio del pensiero logico tornare a rinfrescarci nella visione immediata e ingenua del mondo, che ci è data solo dalla poesia. … Nella poesia noi ci risentiamo veramente uomini e fratelli, e, divisi come pur siamo dalle tendenze politiche e sociali, cozzanti tra noi violentemente, ci riuniamo in essa come in un tempio e riacquistiamo la coscienza che, volendo in apparenza cose diverse ed opposte, in sostanza tutti sentiamo le stesse cose, vogliamo tutti lo stesso, noi creature mortali, e tutti lavoriamo allo stesso fine. E vi dico anche: Date la poesia, date Dante al popolo; datelo in edizioni popolari, senza note o con parche ed ingenue note… il più alto e venerato modo di onorare Dante è anche il più semplice: leggerlo e rileggerlo, cantarlo e ricantarlo, tra noi e noi, per la nostra letizia, per il nostro spirituale elevamento, per quell’interiore educazione che ci tocca fare e rifare e restaurare ogni giorno, se vogliamo vivere non da bruti, ma da uomini”.

Negli spazi espositivi della mostra delle antiche edizioni della Divina Commedia si possono ammirare una “tabula picta” raffigurante una scena del Primo Canto dell’Inferno (versi 44-48) realizzata da Nicola Petta, una tempera all’uovo su tavola con doratura a guazzo in oro zecchino, e, bozzetti a pennarello per installazione di Giuseppe Fioriello, per una lettura personale delle cantiche dantesche.

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