Tra le antiche edizioni della Divina Commedia del “Fondo F. e L.S. Palmieri”, che dal 4 giugno saranno in mostra nel Museo Archeologico della Fondazione De Palo-Ungaro, anche le cento Lecturae Dantis, tenute in Orsanmichele a Firenze da famosi studiosi ed edite dalla casa editrice Sansoni, un puntuale commento ai cento canti del poema dantesco, ancor oggi uno strumento utile per cogliere il significato e l’arte dell’opera del sommo poeta. La 101^ Lectura Dantis è il discorso di Benedetto Croce, che l’insigne critico e filosofo lesse nella sala Dante di Ravenna quale Ministro della Pubblica Istruzione in occasione del sesto centenario della morte di Dante, un testo straordinario che fa comprendere appieno la grandezza del Poeta. Riporto alcuni stralci significativi.“Io sono sinceramente commosso ed orgoglioso dell’onore offertomi dall’ufficio che ora ricopro, d’inaugurare in Ravenna l’anno in cui ricorre il sesto centenario della morte di Dante: in Ravenna, che vide tra le sue mura l’esule canuto, che lo circondò di protezioni e dolci amicizie, dove egli portò la grande delusione, la sua amarezza e il suo cuore per sempre ferito, ma dove anche provò, oltre i minori conforti, la divina gioia, l’ebbrezza contenuta del creatore; se qui compose, forse, gli ultimi canti del soave e malinconico Purgatorio, e, come può dirsi certo, tutto o almeno gran parte del suo mondo di luce e del pensiero, il Paradiso. … È probabile che, durante quest’anno dantesco, molti celebreranno in Dante il più ispirato apostolo della nazionalità italiana, o il maestro della vita morale e politica. … Ma il Dante, di cui così si è parlato e così ancora si parla e si parlerà in futuro, non è il Dante della realtà, sebbene il Dante simbolo. Nella sua realtà Dante non può rispecchiare gli ideali dei nostri tempi, appunto perché egli fu di altri tempi ed ebbe i suoi propri ideali; e forse converrebbe aggiungere che né egli né altro uomo mai è realmente un ideale, per la ragione che l’ideale non si rinserra nei limiti di nessun individuo, per grande che egli sia. Dante, nella sua realtà, fu e resta un poeta, uno dei più eccelsi poeti, che ci presenti la storia. … E come a poeta noi dobbiamo accostarci a lui, come poeta riceverlo nella nostra anima, come poeta farlo vivere in noi e trarre da lui vitale nutrimento. La poesia è un elemento necessario della vita umana, perché è necessità spirituale metterci di volta in volta disopra delle lotte pratiche, o dal dominio del pensiero logico tornare a rinfrescarci nella visione immediata e ingenua del mondo, che ci è data solo dalla poesia. … Nella poesia noi ci risentiamo veramente uomini e fratelli, e, divisi come pur siamo dalle tendenze politiche e sociali, cozzanti tra noi violentemente, ci riuniamo in essa come in un tempio e riacquistiamo la coscienza che, volendo in apparenza cose diverse ed opposte, in sostanza tutti sentiamo le stesse cose, vogliamo tutti lo stesso, noi creature mortali, e tutti lavoriamo allo stesso fine. E vi dico anche: Date la poesia, date Dante al popolo; datelo in edizioni popolari, senza note o con parche ed ingenue note, e magari come in certi libercoli a un soldo di prima della guerra, che contenevano la dolente storia di Francesca o la terribile del Conte Ugolino, e non vi impensierite troppo del modo in cui lo leggerà, e se lo intenderà o fraintenderà. Lo fraintenderà in qualche particolare e lo intenderà nell’insieme; pressappoco come successe a quell’ignorante pittore, di cui ci narra il Diderot, che, avuta tra mano una traduzione francese dell’Iliade, senza sapere che fosse traduzione e opera greca, e credendola un vecchio libro francese, confessava al Diderot che, da quando leggeva quel volume, non poteva più dormire la notte e gli uomini gli parevano cresciuti di statura! … La poesia nella sua concretezza si deve sentirla tuffandovisi dentro, e abbandonandosi alla sua corrente, perché ad essa nessun concetto è adeguato, e non può e non deve essere adeguato, altrimenti la sua poesia sarebbe cosa sostituibile e superflua. La conclusione è che il più alto e venerato modo di onorare Dante è anche il più semplice: leggerlo e rileggerlo, cantarlo e ricantarlo, tra noi e noi, per la nostra letizia, per il nostro spirituale elevamento, per quell’interiore educazione che ci tocca fare e rifare e restaurare ogni giorno, se vogliamo vivere non da bruti, ma da uomini”. (L’acquaforte è una creazione di Michele Santoruvo)